Etimologia vuole che la parola confetti derivi dal latino conficiere ovvero “confezionare, fabbricare”, già in età Romana, infatti, erano conosciuti ed utilizzati i confetti per celebrare nascite e matrimoni. Allora si impiegava uno strato di miele e farina per avvolgere la frutta secca e, se non fosse stato per l’introduzione saracena dello zucchero di canna in Europa (intorno al 700 d.C.), i confetti probabilmente non esisterebbero nella forma in cui oggi li conosciamo.
La vera e propria moda dei confetti dovrà però attendere il Rinascimento, ovvero quando lo zucchero tornerà in Europa esportato nel Nuovo Mondo. Venduti dagli “speziali” (proto-farmacisti dell’epoca), i confetti verranno infatti molto apprezzati dai nobili palati dell’epoca.
Nel XVIII secolo la scoperta dello zucchero di barbabietola, più conveniente di quello di canna, portò i confetti ad essere meno costosi e lo sviluppo della pasticceria dolce li rese meno ricercati. Ma non per questo i confetti vennero dimenticati, sono molto infatti gli autori che negli anni li apprezzarono e menzionarono nei loro scritti. Tra questi Giacomo Leopardi del quale, secondo una tesi curiosa e non del tutto accreditata, fu proprio un’abbuffata di confetti di Sulmona a causare la morte.
Oggi i confetti sono presenti in molte altre occasioni, oltre ai matrimoni (ed anche qui le usanze sono cambiate infatti non sono più un dono per gli sposi, ma un regalo della coppia agli invitati), ma soprattutto sono presenti in infinite varianti di forme, colori e gusti.
Il confetto classico infatti è composto da una mandorla racchiusa in un involucro di zucchero, ed è di colore bianco (la prima apparizione dei confetti colorati risale circa al 1820), ma oggi si passa dal “Riccio di Pistoia” dalla forma tondeggiante e bitorzoluta e dal ripieno di semi di coriandolo, anice, nocciole, cioccolato, canditi o caffè, ai colorati “Tenerelli di Andria” portati alla sposa come augurio di fertilità per la tradizionale Petresciata di carnevale, alle “Praline” natalizie genovesi il cui guscio di zucchero ricopre mandorle, pinoli o pistacchi.
Dietro a quei chicchi apparentemente semplici si nasconde una lunga storia lunga, fatta di ingegno e gusto, simbologie e credenze, equilibri e arti applicate.
Non c’è confetto senza zucchero
Etimologia vuole che la parola confetti derivi dal latino conficiere ovvero “confezionare, fabbricare”, già in età Romana, infatti, erano conosciuti ed utilizzati i confetti per celebrare nascite e matrimoni. Allora si impiegava uno strato di miele e farina per avvolgere la frutta secca e, se non fosse stato per l’introduzione saracena dello zucchero di canna in Europa (intorno al 700 d.C.), i confetti probabilmente non esisterebbero nella forma in cui oggi li conosciamo.
La vera e propria moda dei confetti dovrà però attendere il Rinascimento, ovvero quando lo zucchero tornerà in Europa esportato nel Nuovo Mondo. Venduti dagli “speziali” (proto-farmacisti dell’epoca), i confetti verranno infatti molto apprezzati dai nobili palati dell’epoca.
Nel XVIII secolo la scoperta dello zucchero di barbabietola, più conveniente di quello di canna, portò i confetti ad essere meno costosi e lo sviluppo della pasticceria dolce li rese meno ricercati. Ma non per questo i confetti vennero dimenticati, sono molto infatti gli autori che negli anni li apprezzarono e menzionarono nei loro scritti. Tra questi Giacomo Leopardi del quale, secondo una tesi curiosa e non del tutto accreditata, fu proprio un’abbuffata di confetti di Sulmona a causare la morte.
Oggi i confetti sono presenti in molte altre occasioni, oltre ai matrimoni (ed anche qui le usanze sono cambiate infatti non sono più un dono per gli sposi, ma un regalo della coppia agli invitati), ma soprattutto sono presenti in infinite varianti di forme, colori e gusti.
Il confetto classico infatti è composto da una mandorla racchiusa in un involucro di zucchero, ed è di colore bianco (la prima apparizione dei confetti colorati risale circa al 1820), ma oggi si passa dal “Riccio di Pistoia” dalla forma tondeggiante e bitorzoluta e dal ripieno di semi di coriandolo, anice, nocciole, cioccolato, canditi o caffè, ai colorati “Tenerelli di Andria” portati alla sposa come augurio di fertilità per la tradizionale Petresciata di carnevale, alle “Praline” natalizie genovesi il cui guscio di zucchero ricopre mandorle, pinoli o pistacchi.
Dietro a quei chicchi apparentemente semplici si nasconde una lunga storia lunga, fatta di ingegno e gusto, simbologie e credenze, equilibri e arti applicate.